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I miei genitori sono emigrati in Australia nel 1960, e lì hanno soggiornato per circa 10 anni. Il loro obiettivo era quello di lavorare, guadagnare e risparmiare abbastanza da poter tornare in Italia e acquistare un terreno sul quale costruire una casa.
In Australia hanno lavorato come operai e trasportatori, ma qui in Italia la mia è sempre stata una famiglia di agricoltori, e quindi sul terreno che hanno infine acquistato, con i risparmi accumulati in quasi 10 anni di duro lavoro, hanno vissuto coltivando uva, olivo e frutta.
Negli anni settanta, negli ottanta e forse anche nei primi novanta il mestiere era duro, ma redditizio, abbastanza comunque per permettere ai figli di studiare con tranquillità.
Oggi l'attività, dopo che mio padre è venuto a mancare nel 1994, è condotta da mio fratello maggiore, ma le condizioni economiche delle imprese agricole non sono più quelle di una volta.
Io ho conseguito una laurea in ingegneria, e attualmente lavoro come impiegato in un'azienda di informatica: stipendio medio.
Proprio in questo periodo mi accingo ad accendere un mutuo per ristrutturare la casa che i miei costruirono alla fine degli anni 60; mio fratello abita nella casa a fianco, costruita da mio padre negli anni 80.
Il 10 febbraio 2010, tornando a casa dall'ufficio ho trovato ad aspettarmi una raccomandata.
L'Istituto Diocesano per il sostentamento del Clero dell'Arcidiocesi di Chieti - Vasto vuole da me €1.170,57, e altrettanti da mio fratello A oggi, 3 febbraio 2015, l'importo è arrivato a quasi €5.000, da moltiplicare per due. Per non parlare del riscatto, per il quale non so se basterebbero €40.000.
Nel 1995 siamo venuti a conoscenza dell'esistenza del canone che grava sui nostri terreni, in termine tecnico si chiama “enfiteusi”. Non sono un esperto, e quanto scriverò nel seguito potrebbe essere inesatto. Nei secoli scorsi, i contadini del mio paese riconoscevano al clero, come tributo, una parte del raccolto; non saprei se la gabella derivasse dal fatto che i terreni erano di proprietà della Chiesa, che consentiva ai contadini di coltivarla, ma in ogni caso con l'unità d'Italia la terra è (giustamente) entrata in possesso di coloro che la lavoravano.
Purtroppo però i Patti Lateranensi e il Concordato del 1984 hanno reintrodotto e confermato il balzello, sottoforma, appunto, di enfiteusi, ossia di diritto reale di godimento su una proprietà altrui.
Alla fine degli anni 60, per il terreno dei miei genitori, il tributo ammontava all'equivalente di un quintale di grano o giù di lì. La posizione si sarebbe potuta riscattare, ma ciò avrebbe comportato la rivalutazione del tributo, e l'esborso di una somma consistente.
Fino alla morte di mio padre non ci è mai stato richiesto nessun pagamento: le pratiche di successione hanno riportato alla luce il vincolo, e i pagamenti partono dal 1995.
Nel nostro caso i terreni sono intestati ad entrambi, ma tra me e mio fratello c'è l'accordo tacito che di queste cose se ne occupa lui, e da quello che so ha sempre continuato a pagare ogni anno circa € 10. In paese si sentiva parlare del fatto che la diocesi stesse rivalutando i canoni; sono state fatte riunioni alle quali non ho potuto partecipare, e quello che percepisco da fuori è una sorta di rassegnazione, la volontà di cercare un accordo, una trattativa, magari sul prezzo: invece di pagare, che so, € 2000 all'anno, magari riusciamo a convincere l'IDSC ad accontentarsi di soli € 500, chissà che non ci vada pure bene!
Per il poco che vale mi piacerebbe sollevare il caso, portarlo all'attenzione dei media: la prossima volta che sentite il Papa parlare di crisi, di sostegno ai lavoratori, pensate a me, a mio fratello, e ai tanti ai quali la Chiesa pretende il versamento di uno stipendio medio italiano all'anno.
E tutto perché in passato, i contadini che si spezzavano la schiena nei campi che erano dove adesso è casa mia, versavano al clero un sudatissimo quintale di grano ogni anno.